Nella Rift Valley la natura vegetale si manifesta nella sua grande generosità.
L’abbondanza delle varietà di fiori e di piante rivela il trionfo di una bellezza che suscita lo stupore.
Il Malawi beneficia di questa ricchezza e, almeno da un punto di vista ambientale, garantisce a tutt’oggi un habitat naturale incontaminato dall’inquinamento, nel quale la vita povera di una popolazione sparsa in tutto il suo territorio con una delle densità più alte del continente africano, sembra aver trovato il modo per affermare una discreta forma tra l’equilibrio e una sostenibilità ecologica.
Non mancano i primi segni di uno sviluppo che, se nel tempo dovesse diventare incontrollato, potrà penalizzare la Terra del Lago colpendo uno dei veri ultimi paradisi botanici di tutta l’Africa, di quella centrale e meridionale in particolare.
Percorrendo la strada che da Masuku conduce verso le sponde del Lago Malawi per giungere fino a Mangoghi, prima di oltrepassare il ponte Bakili Muluzi che scavalca il possente fiume Shire che si immette nel Lago Malombe, il paesaggio dell’altopiano degrada dolcemente in tornanti che aprono lo sguardo su orizzonti senza alcun confine con il cielo: sono gli spazi immensi dell’Africa, quelli capaci di aprire il cuore all’Infinito.
A perdita d’occhio la Rift Valley si presenta nella sua immensità; le capanne dei villaggi come piccoli puntini, sembrano disseminate con buon gusto, quasi a rendere armonioso un paesaggio sconfinato nel quale lo sguardo cerca la conferma che non può esistere una qualsiasi costruzione in muratura a turbare un equilibrio così incantevole.
Alberi di mango dalle chiome folte, euforbie alte e affusolate, arbusti e cespugli lasciano lo spazio ad una vegetazione bassa, quella tipica della savana, nella quale emerge sontuoso il baobab, l’albero dalle dimensioni gigantesche.
“Ma è un pò fessacchiotto”, dice Padre Lorenzo, “basta un vento forte per farlo cadere!”
È vero infatti che non dispone di radici profonde, anzi quelle superficiali sembrano emergere da sotto la sabbia, spingendosi lontane dal tronco per molte decine di metri, nella ricerca dell’acqua.
Appartenente alla famiglia delle Bombacaceae che ne comprende otto specie, il baobab del Malawi e dell’Africa centrale è l’ “Adansonia digitata”, dal nome del naturalista ed esploratore francese, Michel Adanson (Aix-en-provence, 7 aprile 1727 – Parigi, 3 agosto 1806) che descrisse per primo quello africano.
Una specie, “l’Adansonia gregorii” o “gibbosa” vive in Australia; le altre sei sono endemiche del Madagascar che lo ha eletto albero nazionale, la grande isola non distante dal Malawi, se non fosse per il Mozambico e il Canale omonimo che la introduce nell’Oceano Indiano.
Il baobab malawiano ha un tronco spugnoso e fibroso, il cui diametro può essere compreso tra i sette e gli undici metri; può raggiungere l’altezza massima di venticinque metri, come oltre un bel palazzo con attico e superattico.