La sua storia
Padre Lorenzo Pege, Bambo Lorenz, per la sua gente del Malawi, è stato un missionario testimone di quell’Amore sul quale ha scommesso tutta la sua vita e per il quale ha orientato tutte le sue scelte. La sua presenza missionaria ha conquistato l’affetto di molte persone, anche di altre religioni. Molti bambini devono a Padre Lorenzo la possibilità di essere andati a scuola, di aver ricevuto un aiuto nutrizionale o sanitario. Ha lottato senza sosta per contrastare la mortalità infantile, per assicurare alle donne la possibilità di un parto sicuro, per organizzare le vaccinazioni dell’infanzia, per offrire un’educazione all’igiene in un ambiente nel quale il confine tra la vita e la morte è una linea molto sottile.
Determinato ed entusiasta della vita, padovano orgoglioso, amava il canto con il quale si cimentava nei momenti liturgici e in quelli ricreativi. Amava il calcio e lo sport, passione che è proseguita per tutta la sua vita missionaria ed è stata trasformata in uno strumento di promozione umana nei tanti villaggi nei quali anche un campo di calcio e un vero pallone, hanno potuto rappresentare l’occasione per instaurare un discorso di amicizia, aggregazione, solidarietà e un invito a frequentare la scuola. Eccelleva nella capacità di tessere relazioni umane grazie al carattere sempre vivace e cordiale, pronto a cogliere l’aspetto umoristico di una situazione difficile.
Nato a Padova il 7 febbraio 1937, a soli 11 anni manifesta la ferma intenzione di andare in seminario e nel 1948 entra nell’istituto dei Padri monfortani di Redona (BG). Alla vita del seminario affianca gli studi. Scuola media, ginnasio e liceo a Redona. Noviziato e prima professione religiosa a Castiglione Torinese. Poi filosofia e due anni di teologia a Loreto. Quindi Roma per gli ultimi due anni di teologia, dove, il 30 marzo 1963 viene ordinato sacerdote.
Per qualche anno fu insegnante e animatore vocazionale, ma il suo desiderio era quello di partire come missionario in Perù. La sua richiesta fu ben presto accolta ma inaspettatamente venne chiamato all’obbedienza per le missioni del lontano Malawi, in Africa. Il 20 febbraio del 1971, Padre Lorenzo partì con la storica motonave “Africa”, circumnavigando il continente africano. Sbarcato in Mozambico, dopo un mese di viaggio, prese un treno per il Malawi e arrivò a Blantyre, sulle sponde del grande lago Nyassa. Fu assegnato al lebbrosario di Utale, una missione che muoveva i primi passi per offrire ai malati di lebbra una sistemazione dignitosa e le cure necessarie; pur essendo la sua prima esperienza, con il suo entusiasmo, riuscì a portare speranza e amore ai malati. In soli tre anni diventò padrone della lingua locale, il chichewa, e questo gli permise di muoversi liberamente e di comprendere le usanze e i comportamenti della popolazione. Era nelle condizioni giuste per lavorare anche su se stesso per un vero processo di “inculturazione e di africanizzazione”.
Per quasi trent’anni ha spaziato nelle missioni della Diocesi di Mangochi: Utale, Nankhwhali, Namalaka, Mangochi. Il buon carattere, allegro e determinato, e un robusto fuoristrada gli hanno consentito di muoversi in lungo e in largo, in un territorio vastissimo. Nel pieno vigore degli anni migliori, ha saputo affrontare con un entusiasmo incredibile il sacrificio di lavorare da solo, talvolta senza il confronto e il conforto della presenza di una sua comunità religiosa. I suoi spostamenti costanti e veloci divennero ben presto il motivo principale di una vera presenza missionaria, che ha saputo conquistare l’ammirazione di una popolazione poverissima, a maggioranza musulmana, disseminata in una miriade di villaggi lungo le sponde del grande lago. L’incontro con la povertà della gente lo sollecita a un impegno senza soste, il lavoro missionario lo riempie di soddisfazioni al punto che i sacrifici che gli vengono richiesti gli sembrano poca cosa.
Si dedica alla costruzione di dispensari con piccoli ambulatori, di decine di pozzi e di numerosissime scuole. Raccoglie le prime conversioni, costruisce le prime chiese in muratura e anima le piccole comunità che timidamente iniziano a condividere la fede del missionario che è lì tutto per la sua gente.
“… Sono contento e felice della mia vita missionaria. C’è tanto lavoro…. Le lontananze sono forti, alcune strade sono buone, altre pessime e queste mi mettono a dura prova. Mi stanco molto…. La visita ai cristiani che comporta istruzione, i sacramenti, la Santa Messa anche sotto un albero di mango, la predica e i colloqui vari mi fanno felice. Mi piace parlare di Dio, mi entusiasmo, mi commuovo. Loro non si stancano e mi dicono di continuare…”
Nel 1993, ancora per obbedienza, si stabilizza nella missione di Masuku, nello splendido altopiano di Namwera, al confine con il Mozambico, ad un’ora di distanza, in macchina, dalla città più vicina, Mangochi. Per sette giorni su sette alterna il lavoro manuale nei cantieri aperti per la costruzione di scuole e chiesette a quello delicato e tenace di formazione delle comunità cristiane. È un andare costante, il suo, da una comunità all’altra. E in questo contatto diretto e quotidiano mette a fuoco i bisogni più importanti e urgenti della gente che abita i villaggi della zona. Conosce i drammi che si consumano tra le capanne, le sofferenze e i disagi causati dalla povertà, dalla malnutrizione, dalle scarse condizioni igieniche, per non parlare dell’ignoranza e della superstizione che chiudono gli orizzonti e soffocano la vita. È testimone “non indifferente” di quanto le malattie, anche le più banali, mietano vittime soprattutto tra i più fragili: le donne, i bambini, gli anziani e le persone contagiate dall’avanzare inarrestabile e incontrollato dell’HIV.
A Masuku non esistevano strutture per l’assistenza sanitaria e di primo soccorso. La gente malata non aveva possibilità di curarsi e chi riusciva a raggiungere con mezzi di fortuna l’ospedale più vicino (a 80 km minimo, di strada africana), arrivava spesso in condizioni disperate. Padre Lorenzo vedendo la sofferenza di questa gente sentiva il bisogno di fare qualcosa per offrire loro una speranza di vita.
“Come potrei annunciare il Vangelo a chi ha fame?”
“Come potrei accettare di starmene tranquillo invece di portare una partoriente in condizioni gravi all’ospedale di Mangochi, dove non arriverebbe mai senza un trasporto con il mio fuoristrada?”
Sono gli anni duemila, a sessantatre anni, quando forse è il momento di iniziare a fare i primi bilanci di una vita missionaria che non ha avuto un attimo di sosta, con il dubbio se sia meglio tirare i remi in barca a fronte di imprese impossibili, inizia quello che lui stesso non avrebbe mai immaginato di realizzare: la costruzione dell’Ospedale Muli Bwanji di Masuku.
In pochi anni costruisce un vero Ospedale per tutti e al servizio di tutti.
“…Un’opera che mi rende felice perché mi ha permesso di realizzare il sogno della mia vita…”
Il Muli Bwanji Hospital diventa un punto di riferimento per moltissime persone. Padre Lorenzo lavora instancabilmente per anni, studia e acquisisce competenze per la gestione di un ospedale. Animatore instancabile, sollecita la sua squadra di collaboratori raccogliendo le esigenze e trasformandole in motivi di carità.
Nel 2009 a ridosso dell’inaugurazione ufficiale dell’Ospedale, Padre Lorenzo decide di non fermarsi e posa la prima pietra per il nuovo reparto di maternità più grande e funzionale, costruisce nuove case per lo staff e proprio mentre l’Ospedale prende una sua fisionomia finale, pensa al domani.
“…Un missionario non può mai pensare di possedere quello che ha fatto, né di soffermarsi troppo sulle iniziative, anche le più valide e costruttive, che lo hanno reso importante agli occhi della sua gente…”
Inizia la costruzione della casa che, in futuro, ospiterà le suore che accetteranno di prendere il suo posto al timone dell’Ospedale quando lui non potrà più farlo.
Lentamente, anno dopo anno, mattone dopo mattone la tenacia di Padre Lorenzo e la sua incrollabile fiducia nella Provvidenza, sono state affiancate dalla generosità di tanti benefattori e amici italiani che hanno compreso il significato della sua grande impresa missionaria. Ogni notte, dopo una dura giornata di lavoro, scriveva personalmente, con la sua bella calligrafia, a ciascuno dei suoi sostenitori per ringraziarli e informarli, consapevole che “Il miracolo dell’Amore”, come lo definiva, era il frutto della loro generosità. Scriveva e rispondeva a migliaia di lettere, entrando nelle vite dei suoi sostenitori con il suo entusiasmo e la sua umanità, offrendo una parola di conforto, se necessaria, e lasciando il seme di un’amicizia che diventa una vera condivisione di carità.
Il 30 marzo 2013 Padre Lorenzo Festeggia 50 anni di sacerdozio, una tappa importante di una vita donata alla carità e all’amore. Di un uomo che nel nome del Vangelo, ha saputo lasciare tutto accogliendo una chiamata che lo ha spinto ad andare fino agli estremi confini della terra nel nome di Gesù
“…Sono felice perché ho realizzato nella vita quello che ho sempre sognato di fare!…”
Padre Lorenzo ha continuato nel suo infaticabile lavoro per il mantenimento e l’ampliamento dell’Ospedale fino a febbraio 2017, quando è tornato in Italia per l’aggravarsi delle sue condizioni di salute, da molti anni compromessa. È mancato l’8 settembre 2017.
Oggi il suo ricordo vive, non solo nei cuori dei suoi familiari e amici qui in Italia, ma anche in Malawi in tutte le persone che lo hanno conosciuto e che hanno potuto godere della sua presenza e del suo instancabile lavoro.
“…Ho sempre e solo lavorato per la gente povera che ho incontrato nella missione. Lascio tutto quello che ho costruito e che ho a Masuku a coloro che s’impegnano a continuare a servire i poveri che abitano quel pezzo di terra che mi è tanto caro. Possa Dio accompagnare e benedire i loro sforzi. Possano i loro gesti testimoniare la misericordia e la tenerezza di Dio che di fronte alla malattia non è mai indifferente, ma sempre premuroso e compassionevole. A tutti quelli che continueranno l’avventura che ho iniziato assicuro la mia vicinanza e la mia preghiera. Non dimenticatevi dei poveri…”.
Sono le parole che Padre Lorenzo ci ha consegnato poco prima di lasciarci. Sono parole che risuonano ancora oggi come il suo testamento, e che ci caricano di responsabilità per un’opera che non può finire con la morte di chi l’ha voluta.